Parlare di cefalea cronica significa affrontare un condizione relativamente diffusa, dato che interessa almeno 3-4 persone su 100. Con il termine “cronico” si intende la persistenza del mal di testa per almeno quindici giorni al mese, per almeno tre mesi: questa durata non tiene conto della natura del mal di testa, dato che questo può essere determinato da componenti tensive, da una emicrania classica, da un grappolo. Quando si ha a che fare con l’emicrania, comunque, si preferisce utilizzare il termine “emicrania cronica”: questa è una forma particolarmente invalidante con importanti ripercussioni a livello personale, familiare, sociale e lavorativo. Dato che la definizione non tiene conto della natura del dolore, per poter parlare nello specifico di “emicrania cronica” è indispensabile che almeno metà dei quindici giorni al mese necessari per la diagnosi siano inquadrabili come emicrania. Difficilmente, comunque, i rimanenti giorni sono realmente liberi da fastidi e dolori, in quanto vengono solitamente lamentati sintomi come cervicalgia, malessere generale, appannamento cognitivo, nausea, irritabilità, alterazioni dell’alvo, ansia e anedonia.
Un’altra variante è rappresentata dalla cosiddetta cefalea da abuso. “La cefalea da abuso”, spiega il Dott. Davide Borghetti, neurologo che si occupa prevalentemente di cefalee, “è una forma nella quale il Paziente assume in modo pressoché continuo degli analgesici allo scopo di controllare i sintomi”. Per poter effettivamente parlare di cefalea da abuso, è indispensabile che il soggetto assuma analgesici per almeno dieci giorni al mese, per un lasso di tre mesi. Ovviamente andranno escluse altre cause o altre condizioni che richiedono l’assunzione di analgesici e antinfiammatori (es. stati infiammatori cronici, patologia articolare ecc.).
Ma che cosa succede, al nostro cervello, nel momento in cui andiamo incontro ad una cronicizzazione della cefalea? E’ stato in parte dimostrato che gli individui colpiti vanno incontro a delle alterazioni cerebrali tanto sul piano strutturale quanto su quello funzionale e biochimico. Particolarmente interessanti sono alterazioni a livello del cosiddetto “grigio periacqueduttale”, all’altezza del tronco encefalico, dove vengono descritti accumuli di ferro. La PET, infine, ha dimostrato una anomala variazione del metabolismo di alcune aree cerebrali, situazione comunque reversibile alla sospensione dei farmaci.
Per poter combattere e superare la cefalea cronica, è indispensabile seguire i consigli dello specialista, accettando la diagnosi e rendendosi disponibili ad interrompere l’abuso di farmaci analgesici. Non di rado si rende necessario un supporto psicologico o psichiatrico, soprattutto laddove esistono situazioni di stress, di ansia e depressione o, ancora, di alterazioni del sonno. Da non sottovalutare, infine, l’effetto di terapie complementari e non farmacologiche (attività fisica regolare, agopuntura, adeguamento dietetico e così via).